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A proposito di affetti: noi e il Natale.

La preparazione del presepe e dell'albero di Natale a casa mia era un avvenimento. 

Mio padre saliva su una scala a pioli e levava il tutto dal soppalco in bagno: scatole e scatole di festoni e ornamenti colorati, di statuette del presepe e, per ultimo, gli elementi dell'albero di Natale sintetico, ormai vecchio, ma talmente amato che nessuno lo avrebbe sostituito.

Poi, da perito edile quale era, preparava con grande precisione la struttura del villaggio e lo sfondo stellato.

Le statuine, invece, le mettevamo noi figlie: pastori, contadini, donne che vendevano merci varie al mercato, il fabbro con la luce della fucina accesa, i Re Magi in lontananza.

Infine, un numero incredibile di pecore, agnelli, arieti: delle greggi stratosferiche che occupavano buona parte dell'altopiano, sopra il quale campeggiava la stella della natività.

Il guaio era che il nostro gatto di allora, una siamese dal nome Pucci, trovava che anche i felini dovessero celebrare la nascita sacra. 

E ogni mattina si svegliava sul muschio ai piedi della capanna. Dopo aver sbaragliato le greggi, dormiva tutta la notte nel presepe, tra pecore a gambe all'aria, pastori abbattuti mentre cercavano di portare aiuto e cani da guardia gettati nel fiume.

Pertanto, rimosso il felino, ogni giorno bisognava sistemare muschio, animali ed eventuali lucette, spente dal peso non indifferente del quadrupede domestico.

La notte del 24 si andava a letto presto: niente cenone, come accade adesso. 

Una volta, a notte inoltrata, la luce in salotto, dove campeggiava l'albero, aveva reso noi sorelle consapevoli del passaggio di Gesù Bambino. E subito dopo avevamo stretto gli occhi, fingendo di dormire, per il terrore che quello non lasciasse i doni desiderati, vedendosi scoperto.

La mattina di Natale era difficile riuscire a fare la prima colazione senza strozzarsi per la fretta di andare in salotto.

Una volta lì, aprire i pacchi, stupirsi, ridere, abbracciarsi e baciarsi.

C'eravamo ancora tutti, allora.

E ricordarli, inteneriti e ridenti, mi scalda ancora oggi.


Testo di Gloria Lai (Le fiabe di Gloria Lai)

Fotografia di Pixaby


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