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Tempesta di J.M.G. Le Clézio


Riconosco immediatamente l’autore appena ne leggo il nome. Ho letto una sua opera qualche anno fa e la ricordo con estremo piacere. Mi colpisce anche il titolo, semplice e pulito che mi lascia un po’ sorpresa laddove mi aspettavo un articolo (“La Tempesta).

Inevitabilmente apro il libro e ne sfoglio le prime pagine. Arrivo presto all’inizio senza lasciarmi sfuggire la dedica che, in appena una coppia di righe, recita così:


“Alle Haenyeo,

alle donne del mare dell’isola di Udo”


L’incipit mi cattura.

La notte, il mare, l’isola.

Vengo catapultata, in un attimo, laggiù.

So già che la sua scrittura è particolarmente evocativa, psicologica, a tratti anche destabilizzante. Eppure non mi aspetto di essere tirata dentro alla storia in questa maniera.

Chi parla è un uomo: maturo, amaro, cupo.

C’è una tale poesia in lui, nella sua maturità, nella sua amarezza, nella sua cupezza, che mi travolge.


“La tempesta mi presta la sua rabbia. Ho bisogno dei suoi gridi di ossifraga, dei suoi mantici di fucina. È per la tempesta che sono tornato su quest’isola. Allora tutto si barrica, gli umani scompaiono nelle loro case, chiudono le persiane e sprangano le porte, si ritirano nei loro gusci, nelle loro corazze.

(...)

Ma niente di quel che so si cancellerà. L’isola è una garanzia d’irredenzione. Una prova di incapacità. L’isola è l’ultimo pontile, l’ultimo scalo prima del nulla. È per questo che ritorno. Non per ritrovare il passato, non per fiutare una pista come un cane. Ma per essere sicuro che non riconoscerò nulla. Perché la tempesta cancelli tutto, definitivamente, perché il mare è l’unica verità.”


Il mare, già, con il suo profumo e le sue figure retoriche, attraversa le 187 pagine senza mai stancarmi, anzi mi accompagna consolando la mia lettura quando i toni si fanno aspri o solenni o crudi.

Il mare accoglie i due personaggi principali che, nella prima parte del libro, si alternano i capitoli e la narrazione. Ne risulta uno scambio ritmato di scene e di punti di vista che si vanno a completare a vicenda, rendendo la trama sempre più delineata e avvincente.

Oltre all’uomo conosciamo dunque una bambina che, con il suo proprio lessico giovanile e le maniere inesperte, affronta ricordi e traumi, il passaggio all’età adulta con tutto ciò che questo comporta.

Entrambi si aprono a confidenze sui loro passati e suoi loro presenti, entrambi si allontanano sempre più da un punto ben preciso avvicinandosi a delle emozioni che non sanno gestire.


“June è qui. Arriva senza far rumore, come un gatto. si siede sui frangiflutti accanto a me e stiamo un bel po’ senza dirci niente. Ha anche deciso che non dobbiamo mai dirci buongiorno, perché il tempo fluisca senza interruzioni. Riprende il racconto del giorno prima, che non è riuscita a concludere. Oppure inizia una storia nuova, per lei il tempo non esiste, ha lasciato la città da un’ora appena, vive soltanto al presente.”


La seconda parte cambia completamente scenario, circostanze e protagonisti.

Troviamo il racconto di Rachel che, quasi come un monologo interiore, percorre una strada in salita della sua vita dagli 8 ai trent’anni. Un susseguirsi di eventi, partenze e ritorni che costringono all’immedimazione. Mi sono molto affezionata a Rachel, ai suoi bisogni e alle sue ferite, alla sua esistenza sradicata che l’ha resa così altruista e capace di profondità dolcissime e al tempo stesso severe.


“Adesso le voci hanno riattaccato. Raccontano una strana storia. Con l’orecchio incollato alla porta, sento tutto quello che dicono. Mia madre, mio padre, ma è soprattutto mia madre a parlare. a un tratto capisco che parla di me. Come ho fatto a indovinare? Credo che me lo aspettassi, che aspettassi questo momento. Nei sogni succede così, sappiamo prima di sapere. Oppure, nell’istante in cui capiamo, ci diciamo ma certo, doveva pur accadere un giorno o l’altro, lo sapevo. L’ho sempre saputo.”


J.M.G. Le Clézio

Tempesta

Rizzoli

Traduzione di Maurizia Balmelli



Recensione e fotografie di

Rossana Orsi(rossana_orsi)



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