TI TIRO I SASSI
- lachanceria
- 21 ore fa
- Tempo di lettura: 6 min
sottotitolo: Racconti di una naturalista in viaggio nelle quotidianità
rubrica: Ariagard’s Tales
Nell’aia ombreggiata del casolare le cicale frinivano tutt’intorno, lo sciame di bambini si raccolse intorno a Leo. Una ventina di facce lo fissavano curiosi, la tuta gialla da apicoltore che indossava era la migliore attrattiva. Scorse i loro visi attraverso la trama scura della retina, un paio di bambine si spintonarono per mettersi davanti a lui col sorriso stampato in volto. Il cuore del ragazzo accelerò, aveva la responsabilità della loro curiosità, i primi si erano accalcati così vicino che per poco non perse l’equilibrio. Un maestro minacciò una verifica e la moltitudine variopinta si fermò in un tenue chiacchiericcio. Leo prese fiato, avrebbe dovuto essere abituato a parlare in pubblico ma ogni volta era come la prima, il cuore non aveva intenzione di rallentare! Agitò la mano in un saluto e impostò la voce, quel tono alto che gli permetteva di sovrastare il canto delle cicale.
“Ciao a tutti!” Leo si tolse la maschera da apicoltore, il silenzio prese il sopravvento, tutti lo fissavano sorpresi. Ci era abituato e approfittò come sempre di quell’istante per catturare l’attenzione dei bambini. “Mi chiamo Leo e faccio l’apicoltore, oggi vi accompagnerò alla scoperta della vita delle api.” Le due bambine ai suoi piedi lo fissavano corrucciate e si scambiarono parole all’orecchio. Rimase concentrato sulla traccia della lezione, ma era fin troppo consapevole degli occhi puntati su di sé: la barba che non voleva saperne di crescere, le labbra troppo carnose e i capelli, per quanto avessero un taglio a ciuffo maschile, non potevano nascondere occhi grandi e ciglia lunghe. Dieci minuti dopo i bambini lo ascoltavano ancora incuriositi: era diventato bravo a tener banco! La collega Rebecca, anche lei con la tuta gialla, sbucò dalla porta del piano terra e gli fece cenno col braccio. Leo ricambiò grato, era senza fiato. Con un sorriso passò la parola alla donna che, con voce squillante, raccolse l’attenzione della classe e se la portò dentro il casolare. Leo si accodò al gruppo e la aiutò a far vedere le api, al sicuro nell’arnia didattica. Fecero mettere i bambini in due file opposte e Leo si accucciò a terra dal suo lato concentrandosi sul mostrare loro le differenze tra operai e fuchi, la collega invece mostrava loro la celletta che avrebbe fatto nascere una nuova regina: stavano osservando l’inizio di una nuova famiglia. Non si sarebbe mai stancato di parlare di api e impollinatori. Mezz’ora passò in fretta e i bambini tornarono nell’aia, stavolta disposti in cerchio. Era giunto il momento più temuto da Leo.
“Avete qualche domanda?” Deglutì e pregò che la prima non fosse proprio quella che temeva. Un bambino che lo aveva fissato tutto il tempo alzò la mano. Leo gli sorrise cercando di non apparire teso: “Dimmi.”

“Ma sei un ragazzo o una ragazza?” Leo buttò fuori una risata. Eccola là, puntuale come sempre.
“Davide!” Il maestro era diventato rosso come una farfalla Vanessa.
“No. Non si preoccupi.” Leo sorrise al bambino che abbassò la mano e rimase a fissarlo. “Sono un ragazzo.” Scorse con lo sguardo gli altri bambini. “Domande sulle api?” Un altro bambino chiese di parlare e fece una domanda sul ciclo di vita delle api, le domande arrivarono a cascata e Leo chiarì ogni dubbio. All’ultima risposta i bambini si sparpagliarono a far merenda e Leo si passò le mani sul viso liscio, forse era il caso di lasciarsi crescere quei quattro ciuffi che avrebbero dovuto essere una barba. Cercò Rebecca con lo sguardo per confrontarsi sull’attività, ma incontrò solo quello delle due bambine che lo avevano placcato all’inizio, gli stavano venendo incontro. Si fermarono ad un paio di passi da lui, due scricciole dai lunghi capelli castani e l’atteggiamento da prime della classe. Una incrociò le braccia e lo fissò.
“Perché sembri una ragazza?” Il tono era accusatorio e gli fece male al petto. Il ragazzo fissò il volto della bambina alla ricerca della risposta migliore.
“Sono fatto così.” Leo allargò le braccia e le sorrise. “Papà e mamma mi hanno fatto così.”
La bambina si accucciò, prese una manciata di ghiaia, la strinse in pugno e si alzò agitandola verso di lui. Dei sassolini caddero a terra.
“Dovrei tirarti i sassi!” A Leo si gelò il sangue e provò un terrore antico, lo mutò in un’espressione sorpresa. Era solo una bambina!
“Perché?” la voce gli uscì più strozzata del dovuto.
“Perché sembri una ragazza, ma sei una ragazzo!”
“E mi vuoi tirare sassi perché non sembro quello che sono?”
“Sì, stai ingannando! Dovresti almeno cambiare nome se sembri una ragazza.” Leo serrò la mandibola e la fissò. In diciannove anni era la prima volta che qualcuno gli suggeriva di cambiare nome per essere più consono al suo aspetto. No, non era solo una bambina quella, era la voce di una famiglia e di un’intera società.

“Dovrei farmi chiamare Lea, secondo te?”
“Certo! Così almeno sappiamo con cosa abbiamo a che fare. Così non si capisce, sembri una femmina. Non puoi chiamarti Leo.”
Il cuore gli precipitò nello stomaco e le lezioni di scienze gli vennero in soccorso: l’ignoranza andava combattuta con la conoscenza.
“Mio padre col suo spermatozoo Y mi ha fatto maschio.” Le bambine sbarrarono gli occhi. “Vuoi forse vedere la mia carta di identità?” Leo arretrò il braccio, il portafoglio era lì nella tasca posteriore dei pantaloni, sotto la tuta. La bimba ne seguì i movimenti e gli sorrise angelica.
“Ti dovrei tirare i sassi.” E puntò appena il dito contro il ragazzo. Quella situazione era surreale, Leo sperò nell’arrivo di Rebecca.
“Inganni le persone: non sei una brava persona. Dovresti mostrarti per quello che sei!” Gli sibilò contro con espressione innocua, la sua compagna annuì seria. Non poteva essere vero.
“Io sono quello che sono.” Una macchia gialla lontana entrò nel suo campo visivo, si voltò verso Rebecca e ne incrociò lo sguardo sperando che gli leggesse nel pensiero.
“Allora perché hai la voce così acuta?” La bambina incrociò di nuovo le braccia, con la ghiaia ancora stretta in pugno. “I maschi hanno la voce bassa.”
“La mia voce è da tenore, è genetica.” La bimba lo squadrò da capo a piedi.
“Sembri una femmina e hai una voce da femmina. Ti dovrei tirare i sassi.”
“Tutto bene, Leo?” Rebecca era arrivata, posò la mano sulla spalla di Leo e osservò le bambine. “Allora vi è piaciuto?” Usava un tono più severo del solito. “Voi non mangiate? Dopo la merenda andremo a vedere dove teniamo le arnie.” La donna strinse la spalla di Leo con fare comprensivo; doveva aver intuito la situazione. Le bambine annuirono cordiali e la piccola inquisitrice si rivolse a Leo.
“Siete fidanzati?” Lo sguardo di chi pensava di saperla lunga. Leo aprì la bocca per negare ma Rebecca lo anticipò.
“No, ho già una fidanzata meravigliosa che avrebbe qualcosa da ridire a riguardo!” Le bambine sollevarono le sopracciglia e arretrarono appena. Rebecca era brava a mentire tanto quanto lui a destare curiosità.
“Hai… una… fidanzata?” La bambina strinse la ghiaia ancora più forte, altri sassolini caddero a terra.
“Sì, solo una. La poligamia non ci piace.” Rebecca sfoggiò un sorriso innocente e alzò una mano in saluto. “Ora dobbiamo andare a preparare l’attività per dopo. Buona merenda!” Leo sorrise alle bambine e si fece trascinare via dalla collega.
“Sei una grande.” Leo si voltò a guardarla negli occhi mentre camminavano, il cuore era finito da qualche parte in gola. “Avevi sentito?”
“Solo ‘ti dovrei tirare i sassi’ e ho visto la tua espressione. Mi era venuta una voglia di dare una lezione a quelle due.” Rebecca gli sorrise e massaggiò la spalla, osservandolo preoccupata.
“Non mi era mai capitato, ci sono rimasto male.” Girarono l’angolo e il ragazzo appoggiò la schiena al muro del casolare, gli tremavano le gambe e respirava male. “Ho avuto paura.”
Rebecca gli prese le mani e gliele strinse e lui capì che lo avrebbe sostenuto.
“Vorrei dirti ‘era solo una bambina’, ma non posso.” La donna lo fissò negli occhi.
Leo le raccontò l’accaduto e Rebecca lo ascoltò fino alla fine. Leo si sentì svuotato ma più tranquillo. Rebecca gli lasciò andare le mani. “Non avrei saputo rispondere meglio.”
“Cosa dovrei fare, secondo te?”
“Resta te stesso, non nasconderti.” Gli sorrise. “I bambini hanno bisogno di conoscere persone come te.” Rebecca inclinò la testa e si morse il labbro, incerta. “Ti svelo una cosa.” Sorrise e gli spostò il ciuffo dagli occhi. Era incredibile quanta calma riuscisse a trasmettere quella donna. “Ho assunto te tra tutti i candidati perché non avevi maschere, sai essere te stesso, senza remore.” Quel qualcosa che stritolava il respiro di Leo, svanì. Rebecca si schiarì appena la voce e allargò il sorriso, stava per dire una cosa idiota “E perché ricordi a memoria tutti i nomi degli insetti impollinatori.” Leo prese fiato. Esagerata, pensò.
“Non tutti, solo un centinaio.” Riuscì a sorridere. “Quindi non serve che mi faccio crescere la barba?”
“Solo se va a te.” Rebecca gli fece l’occhiolino e si scostò da lui. “Andiamo, abbiamo una classe a cui dare una lezione!” Leo rise e si staccò dal muro.
Rebecca aveva ragione, quel giorno più di altri dovevano dare l’esempio come persone.
Ariagard
Testo di Arianna Gardini (aria.gard)
Fotografia di Canva


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