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Lea


Lea aveva aperto gli occhi poco dopo le otto, la nuca sudata e i capelli attorcigliati alla collanina d’oro che le aveva regalato suo padre. I suoi risvegli erano solitamente permessi dopo il caffè e ciascuna mattina ne conteneva almeno due.

Ma mercoledì pareva aver fretta di muoversi per conto proprio.

Lea sfuggì alle mani, alle lenzuola, ai rimasugli dei protagonisti dei suoi sogni. Sfuggì al bagliore delle imposte ancora chiuse e al dondolìo della coda del gatto che penzolava dalla scrivania.

Si catapultò in cucina, ma qualcosa riavvolse il giorno precedente.

Martedì, l’anniversario.

Era stato un giorno di molti ricordi fin dal primo cucchiaino di zucchero nella tazzina. Avevano cominciato a risalire le ante color rovere, il vetro del forno, saltellavano sui fuochi, sul top in finto marmo a ridosso delle piastrelle bianche, sotto alla luce spenta della cappa. Già due regali si intravedevano attraverso la maniglia rotta della cassettiera, un fermacarte e una penna stilografica, impacchettati in carta argentata a righe, abbastanza seri da non passare inosservati e compatti per caratterizzare il pensiero.

Martedì era l’anniversario di un viaggio.

Aveva diciannove anni quando partì per un lavoro all’estero. Lea avrebbe dovuto rimanere in Svizzera per due mesi, nell’estate del duemila, sotto la protezione del suo bell’accento francese e del paesaggio montano di smeraldi e topazi. In realtà non resse che un paio di settimane. Due settimane di vita in un piccolo paese dalla chiesa imponente, col distributore di benzina a cinque chilometri dal municipio, oltre la statale, e le strade fiorite ai bordi d’ogni incrocio. Ebbe tuttavia il tempo di affezionarsi agli orari nei quali, tornando all’alloggio, la funivia rossa e blu rientrava per l’ultima volta alla base e sembrava ammiccare da sopra al fiume che anche aveva amato molto ospitando i riflessi di ogni porzione d’altezza tra lei e il cielo.

L’anniversario del viaggio riguardava l’andata, e precisamente quando aveva solcato le Alpi con la sua misera vettura in un luglio stranamente ghiacciato e nebbioso. Oltrepassato il cartello ITALIA aveva accostato in un piccolo slargo sterrato che preannunciava un bar, infilato nel dorso di un bosco con muri di pietra che sostenevano due piani di costruzione. L’insegna incombeva su una vetrata spoglia di tendaggio e aperta agli arredamenti della metà del secolo appena concluso.

Vide che la barista aveva più o meno la sua età e questo l’aiutò a porre la domanda.

C’è un telefono qui?

Sarà stata la desolazione del luogo, l’improbabile passaggio di persone o l’apparente vecchiaia che le ispirava il listino prezzi esposto ancora in lire, a farla convincere che in quel luogo la modernità di un telefono non fosse di casa.

Sì, sul retro. C’è una cabina proprio vicino al bagno.

L’accostamento dei termini non le sembrò un’affermazione rassicurante, ma la ragazza continuava a fissarla aspettando un suo cenno e allora Lea ringraziò e sorrise di rimando. Aggiunse anche un grazie, ruotando verso l’uscita.

Appena fatto, torno a prendere un caffè.

Va bene. - disse la ragazza continuando ad asciugare sempre lo stesso boccale.

Il telefono aveva il disegno di un gettone rosso sul capo.

Lea tirò fuori la sua scheda prepagata e digitò il numero.

All’altro capo, suo padre rispose quasi subito. Non era preoccupato, ma sapeva che l’avrebbe chiamato verso quell’ora.

Tutto bene? - le chiese subito.

Due partirono immediatamente e, dopo qualche attimo di vuoto, Lea iniziò a descrivere il posto. Del resto suo padre conosceva bene quei luoghi e glieli aveva anticipati nelle conversazioni delle settimane precedenti.

Sono arrivata dove mi avevi detto.

È tutto esattamente come mi avevi detto tu, tranne me, forse. - ma questo lo pensò solamente e non glielo disse.

La lealtà di Lea la si sarebbe potuta misurare negli slanci che arretrano per non causare sofferenza, nelle ricerche degli scopi che avevano a che fare con le armonie di tutte le cose e per le quali lei avrebbe sempre preferito valutare mille strade. Più una.



Testo di Rossana Orsi (rossana_orsi)

Fotografia di Ketty D'Amico (ladypaperina)

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