Coltivare la terra della nostra mente
- lachanceria
- 13 mag
- Tempo di lettura: 5 min
rubrica: I giardini che siamo
“Non ci sono limiti all’accrescimento del vostro potenziale, se la terra della vostra mente viene ben coltivata e nutrita. Dentro ognuno di voi ci sono infinite possibilità e la lettura è lo strumento con cui dissodare questa terra senza confini”.
Daisaku Ikeda
Più volte ho sostenuto che il legame tra esseri umani e natura sia da incentivare a tutti i livelli nella nostra società, coinvolgendo quante più persone possibili indipendentemente da neuro-divergenze, disturbi o difficoltà certificate. Secondo la Teoria della Rigenerazione dell’Attenzione (ART, di cui vi ho parlato in precedenza qui) essere esposti agli stimoli della Natura - che esercitano quella che viene chiamata “fascinazione” - agisce sull’attenzione involontaria per rigenerare l’attenzione diretta o volontaria, fondamentale per lo svolgimento di funzioni cognitive di alto livello come il ragionamento o l’apprendimento.
Ecco che allora, a livelli e con competenze differenti, ortoterapeuti, insegnanti sensibili, operatori sociali adeguatamente formati e tutte le categorie che abbiano a che fare con l’umano, possono “accompagnare” le persone a sperimentare momenti in natura a tutela complessiva del benessere di tutti quanti.
Pensando all’allarme lanciato da più parti circa la crescita dei disturbi mentali tra le fasce più giovani (adolescenti e giovani adulti) e dedicando parte del mio tempo ad accompagnare alcuni ragazzi in età 11-13 nel viaggio della letteratura, della comprensione di sé e del mondo in una scuola libertaria, di recente, ho avuto modo di rileggere i diari di Henry David Thoreau (1817 - 1862) nella raccolta Ascoltare gli alberi (Garzanti edizioni), nei quali l’autore afferma:
Mi colpisce il fatto che più lentamente gli alberi crescono all’inizio, più solidi sono nel nucleo centrale, e credo che la stessa cosa sia valida per gli esseri umani. Non vogliamo certo vedere bambini precoci, che facciano grandi passi nei loro primi anni come i germogli che producono un legname morbido e deperibile; meglio invece, che dapprima si espandano lentamente, come se si confrontassero con le difficoltà, e in tal modo si irrobustiscano e si perfezionino. Alberi simili continuano a espandersi con rapidità quasi uguale fino a un'età estremamente avanzata.
Sono solita arrivare a scuola con un trolley; c'è chi sorride o ride al mio passaggio (le ruotine sul prato o sulla strada sterrata che porta all’edificio sortiscono una certa ilarità, mi rendo conto), chi accorre in mio aiuto quando è troppo pesante, chi mi salterella intorno con mille domande, spinto da curiosità e vuole sapere quali nuovi libri io abbia portato in quella settimana. Da alcuni anni la mia vita è anche questo, una bellissima vertigine alla ricerca della perla rara, di qualche collegamento improbabile e non ancora svelato, di una frase, un'illustrazione, un verso che provochi la scintilla in qualcuno dei miei compagni di viaggio. Perché a ben pensarci è di questo che si tratta, di un bellissimo viaggio.
Ci sono stati momenti della vita in cui ero "la ragazza con la valigia", sempre in giro senza una vera e propria fissa dimora. Anni di spostamenti, studi, elucubrazioni, cambi di rotta, partenze, arrivi, pause e ripartenze. Oggi a quella valigia (è sempre lei, la stessa dei miei viaggi) ho dato un'altra funzione, come se tutto quello che ha appreso nel suo girovagare lo volesse restituire. E un po' è così, quando la apro in un giardino di fiori o di talenti in erba talvolta ancora nascosti; perché loro hanno giardini segreti nel cuore e a volte nemmeno lo sanno. E hanno mondi interi di cui spesso non sanno parlare; però sanno che dentro quella valigia porto tutta me stessa: giardini da coltivare, per adolescenti che devono ancora fiorire; alberi e rami che lentamente crescono come esseri umani; versi e verdure, descritte o decantate (che dire della cipollosità evocata da Wislava Szymborska?); racconti che germogliano e semi che trovano terreno nelle loro menti fertili.
Qui fare poesia significa "vivere la poesia", imparando a coglierla grazie ad una breve camminata in solitudine nella natura che ci circonda, osservando una foglia che ci ricorda il "cuore delle cose importanti", appesi a testa in giù o seduti a testa in su, sotto la chioma di un albero. Quando fuori piove, dentro, al tepore della stufa accesa, si legge. E si fa Poesia. Perché diventa poesia quel che si vive. Per ognuno un verso preferito, un' immagine, una suggestione che spalanca verso un mondo altro o verso il proprio mondo interiore. Ci imbattiamo così nei versi e nelle illustrazioni di una pubblicazione meravigliosa quale “Lo spazio tra i fili d’erba” di Maria José Ferrada e Andrès Lopez, (Ed. Raum Italic), dove consigli d’autore, mai didascalici e inopportuni, privi della pedanteria di testi che vogliono essere seri insegnando per forza qualcosa, ci invitano a “collezionare gocce di pioggia, scrivere dieci parole liquide, guardare un’arancia per sette volte, fare un dizionario di sole parole trasparenti...”

Autunno:
conserva tutte le foglie che cadono dagli alberi in un’ora.
Fanne un libro. Nascondilo nella biblioteca della tua città.
Versi apparentemente strampalati, per piccoli gesti apparentemente folli, che trovano eco e corrispondenza in altre pagine dai diari di Thoreau:
“Il mio diario è come una foglia che pende sopra la mia testa sul sentiero. Piego il ramoscello e scrivo su di essa la mia preghiera; poi , nel lasciarla andare, il rampo spedisce lo scarabocchio fino in cielo. Come se, invece di restare chiuso nella mia scrivania, fosse un foglio pubblico come qualsiasi cosa in natura.”
Leggere, ascoltare, spizzicare (ottavo dei Diritti del Lettore secondo Pennac) tra il dentro e il fuori, tra piani reali e immaginari, in aula e in natura, scrivere su foglie come fossero fogli, sono tutte esperienze per imparare a vedere "lo spazio tra i fili d'erba" e "mettere parole in vaso per guardarle crescere"; esperienze che travalicano i saperi e superano rigide pratiche o metodologie, per essere soprattutto praticabili in molteplici contesti: didattici, creativi, terapeutici. Si tratta in qualche modo di esercizi intellettuali a cui ci si allena, sebbene un po' straniti, ma che danno luogo a gesti fondanti come la semina, quando invito i ragazzi a mettere davvero i loro semi a forma di lettera in un vaso (i semi a forma di C della Calendula si prestano egregiamente a questa operazione!): un atto potente, per comprendere che la cura di ciò che siamo oggi darà i suoi frutti domani.
In sostanza, è il caso di dirlo, qui s’impara facendo, seminando bellezza, coltivando semi e parole allo stesso modo; ci si diverte a trovare versi, similitudini, assonanze, somiglianze e iniziali come fosse un gioco: C di calendula, P di parola, P come pianta, P come pioggia; V come verso, V come vaso. Un nuovo alfabeto, insomma, con cui coltivare sogni, allenare il potenziale, talvolta scoprire il proprio talento del tutto sopito e inaspettato, leggendo storie, poesie e albi illustrati che aprano il cuore e oltrepassino le barriere costruite: perché l' adolescenza è tumulto, si sa, ma rispecchiarsi e non sentirsi soli nella tempesta, sapendo che si è poesia vivente anche quando questo accade, può fare la differenza sulla salute mentale degli adulti che saranno.
Testo di Milena Bellonotto(@ventodifogli.e)
Immagini tratte da Lo Spazio tra i fili d’erba di M.J. Ferrada e A. Lopez, Raum Italic Edizioni
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