La Natura dentro di noi. “Come un albero, io cresco”.
rubrica: I giardini che siamo
Noi siamo Natura. Eppure lo abbiamo dimenticato, come se non appartenessimo, in quanto mammiferi, al regno animale. La parola stessa “anima” – che a detta di molti contraddistinguere l’umano – nella sua etimologia greca di anemos, riconduce al vento, tradotto poi dal mondo della cristianità con “soffio vitale” che, appunto, è ciò che anima i nostri corpi: in definitiva, un pezzettino di Natura dentro ad ognuno di noi.
Noi siamo Natura. Ecco perché capire una pianta, come si è evoluta, interrare un seme, mettere le mani nella terra può indurre a riflessioni preziose sui temi quali resilienza, pazienza, costruzione del sé. I gesti di cura nel verde e verso la Natura, comportano un agire nel qui e ora che, attraverso il fare, si fissano nella nostra mente dando origine ad un modello cognitivo (e aggiungerei, ad una buona pratica) che immediatamente ci rende “capaci” e a nostro agio nel mondo.
L’immagine dell’umano dalle sembianze vegetali e, viceversa, della vegetazione che assume connotazioni umane, è un archetipo che abita da tempo remoto la fantasia umana, con connotazioni diverse a seconda della cultura di provenienza: dal dio dei boschi Pan, rappresentante delle forze istintuali della Natura (da cui il “panico”) alle divinità arboree in tutte le culture pre-cristiane e a tutte le latitudini, alle creature ibride che diventano in epoca medievale rappresentazione dei vizi delle società umane e monito per i fedeli in quanto simbolo delle aberrazioni o dell’istinto incontrollato in caso di allontanamento dalla Regola, ebbene, è chiara la connessione profonda tra Uomo e Natura e, in taluni casi, la totale appartenenza dell’uno all’altra.
Spesso l’Uomo o la Donna-Albero si trovano in molte raffigurazioni nella storia dell’arte e della letteratura: alberi che camminano, come quelli ripresi da Tolkien ne “Il Signore degli Anelli” ma che riconducono alla più lontana Illustrazione tratta da Hypnerotomachia Poliphili , testo attribuito a Frate Francesco Colonna e stampato di Aldo Manuzio nel 1499 in cui si parla di un viaggio iniziatico; ma anche visi di uomini-albero (spesso nelle parti lignee interne alle Chiese), che parlano di istinti e del potere immenso che abbiamo (nel bene e nel male); alberi che ci assomigliano, insomma, e che ci ricordano che noi siamo Natura.
Quanto assomigliamo agli alberi?
“Le radici affondate nel suolo, i rami che proteggono i giochi degli scoiattoli, i rivi e il cinguettio degli uccelli; l’ombra per gli animali e gli uomini; il capo in pieno cielo. Conosci un modo di esistere più saggio e foriero di buone azioni?” (Da “Scritto in un Giardino” di Marguerite Yourcenar)
In questi brevi versi la Yourcenar esprime pienamente la condizione vitale di un albero, collegamento tra terra e cielo, almeno quanto l’uomo vitruviano poi ripreso da Leonardo. Un concetto che ben si ritrova in Come un albero (Camelozampa editore) di Rossana Bossù, autrice e illustratrice che con grandissima abilità veicola significati che vanno ben oltre la scrittura e anche ben oltre l’immagine, traghettando l’osservatore su altri piani rispetto al reale, anche quando l’immagine richiama il reale stesso. Un libro che si presenta in tutta la sua originalità già fin dall’impostazione grafica di copertina, che obbliga il lettore a cambiare abitudine e punto di vista quando lo costringe a ruotare l’oggetto libro di 90 gradi affinché possa essere letto e sfogliato, contravvenendo alla normale gestualità dell’apertura delle pagine da destra verso sinistra. Fin da subito è chiaro che siamo entrati in un regno in cui predomina la verticalità, propria dell’albero che campeggia in copertina: nel mondo del sopra e del sotto, lungo un viaggio che porta in evidenza similitudini e corrispondenze tra uomo e natura, ma anche pattern che si ripetono all’interno della Natura stessa, tra forme animali e forme vegetali.
Le similitudini che aiutano
C’è un motto tra gli addetti ai lavori nell’ambito dell’ortoterapia che recita “ortoterapia tutto l’anno” e che spesso sorprende, invece, i non addetti ai lavori, i quali ingenuamente sono portati a pensare che la parola in sé indichi solamente quelle attività all’aperto, direttamente nell’orto-giardino. Quando si ha a che fare con un utenza fragile o immuno-compromessa a causa di particolari condizioni di salute, oppure con chi ha particolari neuro divergenze che possono sfociare talvolta in fobie vere e proprie rispetto al contatto con la Natura, ricorrere a materiale vegetale essiccato di qualità o a elementi vegetali freschi di raccolta, portandoli in luoghi chiusi, aiuta enormemente ad avvicinare le persone impossibilitate alla Natura senza correre rischi per la salute, un aspetto di cui bisogna sempre tenere conto quando si opera in questo ambito. Spesso, fotografie, immagini e albi illustrati sono elementi di grande supporto a questa pratica perché permettono di stimolare funzioni cognitive complesse, attraverso operazioni quali il riconoscimento di forme e la ricerca di similitudini. Un albo illustrato, inoltre, si presta alla narrazione e alla lettura ad alta voce di brevi sequenze testuali, stimolando memoria, attenzione, linguaggio.
Come un albero, è un albo illustrato che ben si presta a molteplici utilizzi, tante quante sono le chiavi di lettura, i testi e i sottotesti a cui dà origine. I toni del blu, del grigio e del bianco-nero affiancati all’uso (a contrasto) dell’arancio in ogni tavola, rendono immediatamente intelleggibile l’illustrazione proposta, evidenziando similitudini visive e relazioni di senso tra gli elementi e obbligando a salti cognitivi utili anche nella stimolazione delle principali funzionalità cognitive. Si ha pertanto un livello immediato di lettura iconica poiché le splendide illustrazioni mettono in relazione Uomo e Natura evidenziando le similitudini tra i rami e le radici dell’albero - dal greco dendron - e le connessioni “dendritiche” interneuronali del cervello umano, o, ancora, i “dendriti” dei fiocchi di neve osservati al microscopio, elementi così chiamati non a caso.
Il testo ha il pregio di presentare, inoltre, un livello narrativo più complesso, che mette in relazione sentimenti ed azioni umane con la vita dell’albero, immaginato spesso come statico ma capace, invece, di soluzioni per respirare, volare, giocare, viaggiare, aspettare. E così, pagina dopo pagina, illustrazione dopo illustrazione, è il lettore a diventare narratore e a cadenzare il racconto per mezzo delle similitudini: come un albero respiro, ascolto, sogno, volo, gioco, mangio, cresco, rido, mi perdo, danzo, ho paura, aspetto, viaggio… penso.
Chi legge si ritrova, grazie alle illustrazioni, a vivere come un albero, appunto, attraverso l’evoluzione di una ghianda (nella prima pagina) che diventa una giovane quercia (nell’ultima pagina) la quale “interagisce” con numerose altre creature quali rane, pesci, uccelli, ragni, formiche, semi, funghi, fiocchi di neve, uova… di cui Rossana Bossù fornisce anche una breve descrizione scientifica, attraverso un testo a latere e Tavole numerate che riconducono alla trattatistica antica.
Chi sono i nostri Alberi?
Ed è così che colloco mio nonno, sul filo di questi pensieri, che mai lui avrebbe fatto; semplicemente perché, da buon contadino, stava nel fare, sebbene avesse finezza di pensiero che era solito esprimere con poche, misurate parole; come quando, oltrepassata la novantina e con la commozione negli occhi mi disse “E’ bello vivere”, sapendo che non gli sarebbe rimasto molto tempo. Ha sempre lavorato moltissimo, mai gli è mancato il sorriso, mai la solidità (che sapeva anche di solennità), a cui corrispondevano gesti lenti, fermi, pacati.
In una società dove a predominare è l’urgenza (pensiamoci, accade ormai quando facciamo qualsiasi cosa), coltivare e coltivarsi diventano azioni rivoluzionarie nella vita quotidiana perché ci costringono a praticare la lentezza e la pazienza. Ripenso spesso a quel mondo contadino a cui mio nonno apparteneva, che di lì a poco sarebbe stato stravolto, meccanizzato, medicalizzato, velocizzato e mercificato per andare incontro ad un’economia globale che si concentra sulla quantità, spesso a scapito della qualità. Sicuramente, tanto per non essere ideologici tout-court, era un mondo in cui esistevano sperequazioni sociali, ingiustizie, fame, malattie meno curabili di oggi e ogni altra piaga che non vorremmo dimenticare, ma una cosa su tutte c’era che oggi abbiamo perso: la lentezza.
Quando ripenso a mio nonno, lo immagino come un albero, fermo, eppure in movimento; solido, eppure leggiadro; capace di sorreggere e capace di nutrire; dai rami possenti e dalle radici diramate verso tantissime direzioni. Mio nonno (ma ogni antenato) è fuori da me, come radice da cui discendo; ma è anche parte di me, attraverso piccole porzioni e sequenze di DNA che contribuiscono a definire la mia natura e i miei pensieri, impulsi elettrici tra sinapsi a forma di rami, di foglie che volano, di semi che si disperdono per creare nuovi germogli, nuove generazioni, nuove possibilità.
Come alberi possiamo ampliare i confini apparentemente imposti dalla nostra condizione e conteniamo “tremila regni in un singolo istante di vita”, come affermò T’ien-t’ai, studioso buddista del VI sec. (538-97) che sviluppò – sulla base dei principi esposti nel Sutra del Loto - una pratica meditativa per consentire alle persone di percepire l’illimitato potenziale della propria vita in ogni istante (ichinen sanzen, in giapponese), poiché una sola particella può esprimersi in molteplici possibilità, senza mai perire del tutto ma, semplicemente, trasformandosi.
Che sia forse è questo il segreto dell’eternità?
Testo di Milena Bellonotto (@ventodifogli.e)
Fotografia 1 di pixaby
Fotografia 2 e 3 di Milena Bellonotto
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