Il volto selvaggio del sogno
- lachanceria
- 15 ott
- Tempo di lettura: 5 min
Rubrica: Oltre il Ponte dei Sogni
Ogni notte varchiamo una soglia invisibile. Il corpo si distende, la mente cede, e qualcosa in noi attraversa un ponte. Un ponte che non ha tempo, né geografia, ma che collega la realtà al mistero, la coscienza all’inconscio, il quotidiano al sacro.
È questo passaggio silenzioso che vogliamo esplorare in questa rubrica: Oltre il Ponte dei Sogni è un viaggio mensile nel mondo onirico, un cammino simbolico e intuitivo tra sogni, archetipi, emozioni e immagini interiori.
In ogni articolo ci lasceremo guidare da una domanda e da una carta estratta dagli Oracoli Divinatori dei Sogni (di Laura Tuan, ed. De Vecchi). Come in una lettura simbolica ispirata alle costellazioni familiari, partiremo da quell’oracolo per esplorare un tema legato all’esperienza onirica: lo attraverseremo con strumenti diversi – dalla psicologia alla mitologia, dalla fiaba all'esoterismo – tenendo sempre un piede nel mondo del simbolo e uno nell’ascolto del corpo.
Ogni sogno, ogni immagine, ogni intuizione che emerge nel dormiveglia può offrirci una chiave per comprendere noi stessi, riconoscere un bisogno, trasformare un nodo, riconnetterci a una parte dimenticata.
Questo non è un luogo in cui interpretare i sogni come enigmi da risolvere. È un luogo di attraversamento, di ascolto, di relazione.
Un ponte, appunto.
La domanda che mi sono sentita di porre questo mese agli oracoli – e che trovo necessaria per comprendere il sottile legame tra il mondo della veglia e quello dei sogni, e dove tra i due ci collochiamo noi – è questa:
Qual è l’intelligenza profonda che anima i sogni?

La carta che è emersa dalla stesa è la numero 18: L’animale pericoloso.
Una figura potente, viscerale. Una presenza che scardina le regole e infrange il linguaggio del giorno, per parlare nella lingua della notte.
La carta numero 18, L’Animale Pericoloso, emerge in primo piano con il suo serpente dagli occhi ipnotici e le spire dorate. Simbolo antico e potente, il serpente ci osserva da un fondale scuro, come l’inconscio da cui proviene. Non è lì per attaccare, ma per avvertire. Ci parla di angoscia, istinto, panico, ma anche di rinascita, trasformazione e potere.
A prima vista, questa carta evoca tutto ciò che in noi è istintivo e indomito: le paure senza nome, i desideri brucianti, le ombre non addomesticate. Ciò che il mondo civile ci ha insegnato a reprimere, a soffocare, a nascondere.
Ed è lì che il mio pensiero è corso: all’inconscio arcaico, al Sé Selvaggio.
Clarissa Pinkola Estés, autrice e psicanalista che da anni accompagna il risveglio simbolico e spirituale del femminile, descrive il Sé Selvaggio come la parte più autentica e istintiva dell’essere. Quella che sa, prima ancora di capire. Che sente la verità sotto la pelle. Che si orienta con il fiuto, non con la logica. Che riconosce i pericoli, ma anche le chiamate dell’anima.
“La donna Selvaggia è la forza della vita, la fonte creativa, la conoscenza istintiva. È colei che sa.” (C.P. Estés – Donne che corrono coi lupi)
Il Sé Selvaggio – come i sogni – non parla con parole. Parla per immagini, sensazioni, simboli, animali, cicli. Si manifesta quando abbassiamo le difese del giorno, quando smettiamo di controllare e lasciamo che la psiche profonda respiri.
Ecco perché nei sogni, spesso, è proprio un animale a comparire. Spesso minaccioso, fuori controllo, a volte mostruoso. Non perché voglia distruggerci, ma perché porta con sé una forza che abbiamo dimenticato.
Il sogno lo riveste di fauci, artigli, veleno, ombre. Ci tormenta con presenze oscure, ma in verità è la nostra guida più antica, quella che ci spinge a riconoscere le nostre paure, i nostri blocchi, va dritto alla radice, là dove ci siamo separati da noi stessi.
Il Sé Selvaggio nei sogni appare come una soglia. Non si lascia afferrare, non si lascia spiegare. Ma ci sfida, ci insegue, ci osserva. Vuole essere riconosciuto, ascoltato, vissuto nel corpo. Come una lingua primordiale che va sentita più che capita.
Mi capita da sempre – sin dall’adolescenza – che le persone mi affidino i loro sogni. Anche quando non ne faccio parola, anche quando non dichiaro apertamente la mia attitudine ad ascoltarli, interpretarli, accoglierli. È come se i sogni bussassero, cercando una porta aperta, un varco da cui emergere e farsi dire.
Uno dei sogni più ricorrenti, che spesso si presenta al termine dell’infanzia o poco oltre, è quello di un’ombra indefinita o di un animale che ci insegue, costringendoci alla fuga. Figure inquietanti, talvolta deformi, altre realistiche e selvatiche, appaiono in sogni carichi di tensione fisica: corriamo, ci nascondiamo, escogitiamo vie di fuga. Nel sogno mettiamo in moto il corpo e la mente. E al risveglio, il corpo ricorda: fiato corto, battiti accelerati, sudore freddo, a volte persino grida o lamenti.
In molti casi, ci troviamo inizialmente in un luogo conosciuto – casa nostra, la scuola, un giardino dell’infanzia – un ambiente che percepiamo come sicuro. Ma quando l’ombra compare, scopriamo che quel luogo non basta più a proteggerci. Non è più rifugio. Forse non lo è mai stato. O forse siamo semplicemente pronti.
Pronti a uscire dalla zona di confort. A spostarci. A crescere.
Secondo Clarissa Pinkola Estés, questo tipo di sogno è iniziatico. L’ombra, l’animale pericoloso, non è un nemico. È il messaggero del Sé Selvaggio. Il suo compito è smuoverci. Interrompere la stasi. Farci intuire che è giunto il momento di trasformare.
Il Sé Selvaggio, nella visione di Estés, è la parte più istintiva, saggia e profonda del nostro essere. È l’archetipo della donna (o dell’uomo) che “sa”. Non la parte civilizzata, adattata, razionale, ma quella che fiuta il vento prima che cambi, quella che intuisce ciò che sta per emergere dall’inconscio. Nei sogni, questa parte si manifesta attraverso figure ferine, spesso inquietanti, perché portano con sé una carica archetipica potente, difficile da integrare.
“Il Sé Selvaggio ha mille forme: è l’animale che corre nei sogni, è il battito del cuore quando si avvicina la verità, è la parte che sa cosa deve morire perché la vita possa crescere.” (C.P. Estés)
Sognare di fuggire da un’ombra o da un animale non è quindi una regressione, ma un impulso verso la libertà. È il primo passo di una nuova fase della vita. Come nei miti antichi – pensiamo a Inanna che scende nel regno dei morti, a Perseo che affronta Medusa, o a Ercole che doma il leone di Nemea – l’eroe o l’eroina è chiamato ad attraversare una prova che coinvolge il corpo, la paura, l’istinto, la morte simbolica.
Il sogno, in questi casi, rinuncia ai messaggi misteriosi e si esprime con immagini dirette, capaci di scuotere il sistema nervoso e il campo energetico. È il modo in cui l’inconscio comunica l’urgenza di un cambiamento imminente.
L’animale pericoloso non è dunque solo la rappresentazione del pericolo esterno, ma il simbolo di qualcosa che in noi sta mutando, che preme per essere liberato. È l’energia vitale intrappolata in un ruolo, in una famiglia, in un’idea fissa di sé. E proprio come nelle fiabe o nei racconti sacri, l’iniziazione avviene quando questa forza viene riconosciuta e attraversata.
Quando l’ombra ci insegue nei sogni, è perché siamo pronti a prendere una posizione, a dire un no o un sì, a varcare una soglia interiore. E il sogno tornerà, si farà più insistente, fino a quando quel passo non sarà compiuto anche nella veglia.
Naturalmente, questo tipo di sogni torna ciclicamente nella vita. Perché ogni età, ogni trasformazione, ogni perdita e ogni rinascita porta con sé una nuova “prima volta”. Ma una volta che abbiamo imparato a riconoscere il volto del nostro Sé Selvaggio, a dare un nome all’animale che ci incalza, qualcosa cambia. Il corpo lo riconosce. L’anima lo accompagna.
E allora, forse, non saremo più costretti a fuggire, ma potremo fermarci, girarci, e guardarlo negli occhi.
Tamara
Testo e foto di Tamara Barbarossa (@tamara_barbarossa)

Decisamente interessante e attrattivo..