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MOLCHER - ottavo capitolo

Rubrica: Racconti oltre il velo

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Aprile - prima parte

Aprile era un mese gentile. 

Le acque del fiume scorrevano pure e splendenti come diamanti, sebbene il Vescovo non permettesse a nessuno di avvicinarsi nemmeno per rinfrescarsi, almeno non prima di aver imposto le mani sulle damigiane di terracotta, recipienti colmi d’acqua che erano destinati all’accampamento. Malachia, benedicendole, annullava gli incantesimi che le fate lanciavano sulla fonte del fiume, malie con cui stregavano gli uomini.

Intorno al monastero orlato di granito, gli abeti rinverdivano levando la loro bella testa a forma di guglia per nutrirsi di ogni raggio di sole che riuscivano a catturare. I gladioli di campo emergevano colorati fra i cereali spontanei e centinaia di piante aromatiche fiorite erano diventate il luogo prediletto delle nuove api. A sud, invece, si estendeva un tappeto erboso: l'erba fine e bagnata dalle infiltrazioni che scorrevano lungo le fenditure delle rocce la alimentavano, ma non riusciva a crescere adeguatamente per via del calpestio continuo e degli animali al pascolo che la brucavano. Sullo stesso tappeto erboso un'atmosfera di fermento e fervore religioso prendeva vita: in pochi giorni era stata predisposta una base dedicata alla difesa della fede contro i pagani. 


Dopo essersi scontrato con Molcher, Malachia non aveva mai lasciato quello che, in breve tempo, era diventato un avamposto. Pochi giorni dopo, un nutrito gruppo di cavalieri e servitori armati del re si era unito a lui. 

Le tende, erette in altezza, erano ornate da vessilli che sventolavano fieramente, mostrando gli stemmi delle casate impegnate nella crociata contro gli infedeli. I cavalli, sellati e pronti per un eventuale inseguimento fra i boschi, pascolavano tranquilli nei prati circostanti, pronti ad essere chiamati all'azione nel caso in cui il Cavaliere della Morte, soprannome col quale ora era noto Molcher, o i pagani, che avevano trovato rifugio entro le mura, cercassero di fuggire portando con loro il calice. 

Tuttavia il Vescovo, nella lettera in cui raccontava dell'accaduto al re chiedendo adeguati rinforzi per l'assedio imminente, non aveva menzionato l'oggetto in questione: era chiaro non fosse sua intenzione condividerne il ritrovamento. Aveva anche dichiarato il falso narrando di come una sacerdotessa, prigioniera particolarmente dotata nelle arti demoniache, avesse trasformato uno dei suoi prodi cavalieri in un burattino succhiandogli l’anima e piegando l'intero monastero delle Monache Silvestrine al volere di antiche divinità.

Preoccupato che l'accaduto potesse avere ripercussioni e diffondersi tra la popolazione come un incendio, il re inviò subito un contingente autorizzando il vescovo a infliggere una condanna a morte immediata alla sacerdotessa e a chiunque la sostenesse, senza un regolare processo. 

Nella risposta che aveva ricevuto sulla pergamena, però, gli veniva negata l'autorizzazione per sfondare i cancelli del luogo di culto prima che il Papa lo dichiarasse sconsacrato.



Al centro dell'accampamento sorgeva una piccola chiesa di legno dove il Malachia celebrava messa, all'alba e al tramonto. 

Intratteneva i contadini che man mano andavano ad accalcarsi intorno alle mura con orazioni decisamente persuasive che trovavano riscontro fra le persone più povere e facilmente manipolabili. 

Quella sera, come ogni sera da qualche giorno, il suono dei cori sacri si diffondeva nell'aria mescolandosi al tintinnio delle armi che richiamavano i fedeli alla preghiera. 

La Madre Badessa non si era più mostrata al campanile, che da giorni era rimasto silenzioso. Al suo posto, ad ogni chiamata all'adunata, la figura tenebrosa di Molcher appariva inquieta e spaventosa come un uccello premonitore.


"Ascoltate la parola della verità!" esordiva Malachia con il suo mantello che ondeggiava appena dietro di lui, mostrando l'abito talare decorato con motivi d'oro.

"Aprite i vostri cuori alla luce della giustizia divina! Mi rivolgo a voi non solo come vostro Vescovo, ma soprattutto come guida spirituale che vi esorta a difendere con fede e ardore la nostra Sacra Religione contro le insidie dei pagani e del paganesimo. Minacciano di consumarci come un serpente velenoso! Guardatevi intorno..." disse aumentando il tono della voce e puntando il dito verso il campanile, dove il Cavaliere della Morte continuava a fissarlo con occhi gialli e sporgenti. "Molti di noi hanno potuto assistere alle trame malefiche che si insinuano nelle menti deboli e smarrite. Io stesso le ho fronteggiate senza indugio! Ho veduto un impavido cavaliere dissetarsi con le acque del fiume per poi tramutarsi in quell'essere spaventoso che ogni sera incombe su di noi dall'alto. Quella donna, la Sacerdotessa pagana, ha corrotto le anime innocenti delle monache, spingendole verso l'abisso dell'errore!"


Poi prese fiato, mostrandosi inorridito per ciò che stava accadendo, dopodiché continuò ancora più motivato: "Questi pagani, con le loro credenze perverse ed idolatriche, cercano di soffocare la fiamma della nostra fede con le tenebre della menzogna e della falsità. Ma noi non possiamo permettere che ciò accada! Noi siamo il baluardo della verità, i difensori della luce divina che risplende nei nostri cuori e nelle nostre menti. Con la spada e lo scudo della giustizia combatteremo senza tregua contro le forze del male che cercano di abbattere le mura della nostra Chiesa. Il serpente del paganesimo si arrampica furtivamente nelle case in cui vivono i nostri figli, nei nostri villaggi, nelle nostre terre sacre, avvelenando le menti deboli ed estenuando la nostra volontà di resistere!"


Un boato di approvazione lo interruppe per un momento.

La folla era completamente avvinta dal suo discorso.


"Ma noi non temiamo il serpente!" esclamarono mostrando le lance verso Molcher che osservava immobile la scena. 


Quindi Malachia, entusiasta, proseguì il discorso: "Con il potere della preghiera e della penitenza, schiacceremo sotto i nostri piedi lo spettro del paganesimo e lo getteremo nell'oblio. Rialzatevi, o figli di Cristo! Rafforzate le vostre anime e preparatevi alla battaglia spirituale che ci attende. Con il fuoco della passione divina nel cuore, respingiamo le tenebre e illumineremo il mondo con la nostra fede incrollabile!"


A queste parole i cavalieri posero una mano sul proprio cuore, immediatamente imitati da tutti gli altri. 


"Che la grazia del Signore sia con tutti voi, e che la nostra lotta contro il serpente sia gloriosa e vittoriosa!"


Il brusio dei popolani si elevò alto, incitato dalle parole del Vescovo. Infine si dispersero lentamente, riprendendo con fervore la perlustrazione delle zone intorno al monastero in modo che nessuno dei prigionieri potesse immaginare di fuggire. 

Le mani nodose e callose dal lavoro dei campi stringevano con forza armi rudimentali che avevano costruito per difendere la loro terra e la loro religione. Insieme ai cavalieri e ai servitori armati, si preparavano per la battaglia. 

Chi aveva visto il Cavaliere della Morte, diceva che fosse abile quanto mille uomini. 

Lo temevano e allo stesso tempo sfidavano ciò che rappresentava: la morte stessa, l'oscurità.


Oltre l’imponente costruzione, oltre l’avamposto e le sue bandiere, si snodava una strada. In realtà pareva più un viottolo per le capre, fatto di terra indurita dal calpestio degli zoccoli degli animali che scendevano dai pascoli fino alla città. La carrozza bordata dei vessilli della chiesa in qualche modo era riuscita ad inerpicarsi fin lì. Il monastero si ergeva sinistro, stagliandosi contro il cielo stellato. Osservandolo con occhi nuovi all’emissario, in quel momento, parve il baluardo del male. Le luci erano spente e tutto, all’interno, era silenzioso: nessuno pregava, a significare che la fede si era persa mentre il serpente tramava nell’oscurità. 

Oltre le mura granitiche si ergevano le montagne marchigiane. L’uomo, scendendo dalla carrozza, provò della malinconia alla loro vista mentre il vescovo Malachia gli porgeva l’anello perché lo baciasse. Si concesse un ultimo sguardo in direzione del campanile prima di entrare dentro la tenda del presule. 

Lei non c’era e non ci sarebbe più stata. 

L’indomani avrebbe cicatrizzato vecchie ferite e chiuso per sempre con i ricordi che non si addicevano ad un uomo nella sua posizione. 

Avrebbe decretato con decisione la fine del monastero e dell’ordine delle Monache Silvestrine. 

D’ora in poi quella, per lui, sarebbe stata solo una tomba. 



(continua)



Testo di Tamara Barbarossa (@tamara_barbarossa)

Illustrazione di Barbara Aimi (@aimi.barbara)

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