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Se_dici ottobre.


Sedici ottobre.


Lo preferiva al diciassette, che era il suo numero preferito. O forse andava bene anche quello, quando Alessandra si presentò alla sua stessa indecisione come ad una porta alla quale bussare.

Quel giorno ascoltò la voce di Milano spezzata dallo sciopero, senza però poterla guardare negli occhi. La città sapeva bene che avrebbe potuto innamorarsi solo di quelli. E solo quelli avrebbe voluto regalarle, privatamente, come se nessuno mai li avesse guardati, come se non avessero mai guardato nessuno. Eppure avevano già guardato tutto e tutti, non avrebbe potuto essere diversamente, per darsi a lei.

Alessandra sapeva le misure dei tuoni in montagna, dove era nata la sua famiglia e poi cresciuta a valle, sulle punte. Sapeva catturare i flash puliti delle cime longilinee di natura che aveva ritrovato poi, a lavoro, nelle sfilate di moda. Milano intanto cercava di tener fermi gli occhi mentre Alessandra parlava dei tacchi - di tutto e di tutti - e si muoveva apposta, in su e in giù, dondolando in una ritmica posa. Impossibile da fotografare.

Ce l'ho ancora qui davanti: Alessandra che scioglie i timori di chi considera benvenuto un fianco, l'inguine, il sapore, una frase, la lingua spagnola detta premendo la erre dove scivola il tempo.

Lì.

Con un po' di paura di non trovare l’attenzione necessaria alla comprensione del testo.

Portava sette tatuaggi sparsi per le periferie del corpo, Alessandra. C’era una rosa tracciata dove la caviglia si sarebbe sporta verso un sorriso che osa per amare, e per nient'altro. Me lo avrebbe raccontato dopo, con cura e senza pause, quasi di fretta, durante una conversazione casuale. A me come a chi nemmeno conosce. Sarebbe stata un'eterna prima volta di presentazioni a comando oppure il ritrovo di chi si conosce da sempre e riesce a dirsi 'arrivederci' dopo mesi senza essersi salutato mai.


Alessandra riusciva a sentire la gelosia, la riservatezza, la scaltrezza della sua sensualità. La sentivo anch’io, con lei, minima come un colpetto di tosse per schiarirsi la voce prima di iniziare a parlare.

È stato quando mi ha attraversato le frasi, con quell'aria di pioggia che s'asciugava sull'asfalto, nella frenesia del centro, nel grigiore della metropolitana.


Alessandra è stata un inizio di sogno.

Qualcuno che non aspettava mai il sole.

Aveva certe parole in codice che lasciava da decifrare come saliva sulle pagine di libri antichi, come soffio dopo una pennellata.

Alessandra scandiva i luoghi dove si ritorna, di tanto in tanto, coi viaggi della mente. Anche quando sono pochi.

La prima volta che ha fatto l'amore, mi ha confessato i ventiquattro graffi per ciascun colpo di minuto, come cannonate.


Alessandra è stata uno spettacolo, una pellicola riavvolta nei vicoli sotto ai lampioni accesi con le torce.

La potevi vedere tutta di fila a Milano, ma anche a Cattolica o in Trentino.

Quel giorno l'ho vista passare dalle mie parti con una lettera in mano e, sotto al naso, l’odore di lui che si faceva sempre più profumo.

Era il sedici del mese.

Se dici Alessandra, dici ottobre. E puoi vederla anche tu.

Non so se lei ci ha viste ma so che, se lo avesse fatto, si sarebbe innamorata.

Magari solo di quello.

Di sé stessa.



Testo di Rossana Orsi (rossana_orsi)

Fotografie di Chiara Lunghi (_kialu_)

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