top of page

MOLCHER - quinto capitolo

Rubrica: Racconti oltre il velo

(recupera i CAPITOLI PRECEDENTI qui)

Gennaio


“Questi sono i provvedimenti che il Gran Consiglio ha adottato per ripristinare l’ordine e alleviare la vostra situazione, Signora. 

Per poter raggiungere lo scopo abbiamo bisogno che collaboriate dimenticando, per quanto vi sarà possibile, chi siete stata in passato. Che facciate vostra la parola di Dio indossando il velo e diventando sua sposa, che vi postriate dinanzi all’unica religione abbandonandovi ad un destino meno crudele. Che vi convinciate, come una morte certa e ignominiosa attende chi ostenta il nome della Dea. 

Non abbiate paura, ciò che resta dei vostri averi verrà salvaguardato perché tale è la volontà del più giusto tra i monarchi che si sono susseguiti al trono”.



Nel frattempo che il vescovo esponeva la propria causa, la Gran Sacerdotessa posava distrattamente lo sguardo sugli oggetti che arredavano la stanza del tempio. Li osservava come se li vedesse chiaramente per la prima volta, conscia che nel luogo al quale era destinata nulla di tutto ciò che le era appartenuto sarebbe servito. Evitò saggiamente di soffermare l’attenzione sul tabernacolo, celato da un drappo che lei stessa aveva ricamato e che ritraeva l’essenza della sua Signora, la Dea delle Acque. Temeva di alimentare sospetti che avrebbero spinto il prelato a curiosare ma, non appena l’uomo ebbe terminato di parlare, Ifigenia, col suo altero portamento, volse lo sguardo dritto negli occhi del vescovo, sfidandolo. Allora il presule, stizzito, batté forte un piede a terra facendo risuonare il rivestimento in legno del pavimento e stringendo il pugno. Notando con disapprovazione che la donna non desisteva alla sua dimostrazione di potere, lo stesso pugno si distese nervosamente e uno schiaffo colpì la Dama del culto pagano. I suoi lunghi capelli, che portava sciolti sulle spalle, volarono in aria seguendo il movimento del capo per poi ridiscendere sullo zigomo arrossato.


“Avete a disposizione una notte per decidere se salvaguardare la vostra vita o meno. Una notte sola. E domattina, invece che sulla gogna, verrete condotta al convento delle monache silvestrine. Sono certo che potrete trovarvi a vostro agio con loro!”


Il vescovo uscì sprangando la porta.

Il rumore ritmico di uno scalpellino le fece intendere che l’ingresso in qualche modo venisse segnato. 

Sul letto giacevano una tonaca scura ed un velo nero quali simboli di sottomissione al nuovo Dio, un Dio usurpatore che i cristiani ritenevano unico e solo. 

Non li avrebbe mai indossati, non poteva rinnegare il suo credo, sarebbe stato come rinnegare sé stessa dato che lei era ciò che professava. 

Si diresse quindi verso il tabernacolo. Tirò giù il drappo e aprì il piccolo sportello di legno. Avvicinò la candela illuminando l’interno dove lo smeraldo, il prezioso materiale col quale era stata intarsiata la coppa, mutò la tonalità di verde che da cupo divenne chiaro. La Sacerdotessa si assicurò che fosse piena, lo era sempre stata e questo, nonostante tutto, era un buon segno: significava che vi era ancora speranza per l’antico sapere. Dopodiché la estrasse dalla nicchia con attenzione predisponendola sull'altare come aveva sempre fatto durante le cerimonie più importanti, quelle solstiziali. Accanto alla coppa, la fiamma sacra bruciava ininterrottamente da quando il tempio era stato istituito e, dinanzi a lei, depose un bacile d’argento. La Dama era solita seguire la tradizione secondo la quale le grandi forze creatrici dell’universo non potevano essere interpellate degnamente in un luogo innalzato da mani umane, tanto meno l'infinito poteva essere contenuto in un piccolo oggetto forgiato da un essere mortale. Ma quella sera sperava vivamente che le forze in atto facessero un eccezione. Riempì quindi il bacile con l’acqua che proveniva dalla fonte sacra, almeno ciò che rimaneva nella brocca dato che dal giorno dell’assedio non aveva più potuto raggiungerla. Con lo stesso liquido si bagnò i polsi, la nuca e la fronte, per liberare la vista e poi, proferendo le sue devozioni alla Dea, inserì il dito indice nel bacile, nel filo d’olio nero consacrato, che iniziò a far roteare così che il liquido ne seguisse il movimento circolare. La Dama mantenne lo sguardo attento sui cerchi concentrici che via via prendevano forma nell’attesa che finalmente l’immagine si mostrasse chiara ai suoi occhi.


Era notte fonda quando dei leggeri picchiettii provenienti dal fondo dell’altare la ridestarono dal raccoglimento in cui era immersa da diverso tempo. Ifigenia si mosse velocemente, prese la coppa e l’avvolse nel suo panno nero vellutato, la ripose dentro un sacco in pelle di capra e lo sigillò per bene. I picchiettii proseguirono a intermittenza, quindi sollevò i paramenti che ricoprivano l’altare e vi strisciò sotto gattonando come un bimbo. Scoperchiò una piccola botola che dava verso l’esterno quando subito la raggiunse la voce del garzone.


“Mia Gran Dama…”

Era quasi un singhiozzo, ma riconobbe il timbro di Ivor, il fratellino più piccolo della sua Ancella. La Sacerdotessa sperava proprio in questo incontro e non perse tempo per rispondergli.

“Ivor, ora devi ascoltarmi attentamente perché la sopravvivenza del culto della Nostra Signora delle Acque e di molte altre vite da questo momento saranno nelle tue mani!”

“Grande Dama sapete che su di me potete sempre contare!”


Ed era vero, il ragazzo venerava la sorella e da quanto la giovane aveva preso servizio al tempio come iniziata ai misteri, Ivor aveva rivolto la medesima venerazione ad Ifigenia.

“Devi dire a Lympha che dovrà dare l’esempio alle altre e indossare il velo nero senza indugio! Devono lasciarsi condurre al convento, qualsiasi sia la sorte che la Dea ha in serbo per me non devono seguire il mio esempio!”

La voce quasi le si spezzò in gola al solo pensiero di morire tra le fiamme.

“Hai capito Ivor?” 

Il suo tono era risoluto mentre il giovane cercava invano di riprendere un certo contegno. 

Poteva percepire il suo petto alzarsi e abbassarsi ritmicamente. Infilò la piccola mano raggrinzita dal tempo attraverso la botola e Ivor la strinse trovando conforto.

“Figlio mio, ho un’altro compito ancora più delicato e pericoloso da affidarti se lo desideri!”

“Gran Dama lo sa che sono coraggioso, dormo insieme ai lupi del bosco da quando ero in fasce, non fallirò di certo!”

“Proprio per questo motivo speravo nella tua visita, Ivor, per il tuo coraggio. Ora ti consegnerò un oggetto sacro, ma per nessuna ragione al mondo dovrà finire fra le mani del clero cristiano. Portalo con te e segui, senza farti notare, il carro che condurrà Lympha e le altre al monastero, e consegnalo a lei solo nel momento in cui incontrerà il cavaliere!”

“Quale cavaliere?”

“La Fonte Sacra mi ha mostrato una morte ingiusta e un cavaliere sepolto sotto una distesa di muschio. So per certo che lui arriverà. Non so in che modo e quale sarà il suo ruolo, ma so che sarà determinante per te e Lympha!”

Lasciò la mano al ragazzo e fece scivolare il sacco attraverso la botola.

“Ivor, è molto importante che tu lo tenga ben nascosto fino ad allora!”

“Certamente Grande Dama, non vi deluderò!”

“Vai, ora, figlio della Dea. Non ti attardare, la ronda tornerà presto da queste parti!”


Ifigenia richiuse tremante la botola, il gelo si era impossessato della sua persona. Spense il cero sacro con le mani lasciando che la fiamma le bruciasse le dita, non avrebbe mai permesso ad un profano di farlo al posto suo. Lasciò poi che l’oscurità s’impadronisse del tempio, congedando la Dea. Era certa che un giorno sarebbe risorta presso altre dimore. Ora il suo prezioso cuore viaggiava in gran segreto e doveva credere che tutto si sarebbe svolto come la fonte aveva predetto.

Si svestì e completamente nuda attese l'alba. 

Prima che il sole sorgesse del tutto, il villaggio fu raso al suolo dal fuoco purificatore dei cristiani. Nessuno aprì quella porta mentre il rogo avvolgeva le carni dell’alta Sacerdotessa.


***


Lo stagno era immerso in un silenzio glaciale, un manto gelido e cristallino brillava sotto i tenui raggi del sole di gennaio. I rami degli alberi che vegetavano intorno, apparivano immobili, quasi privi di vita, come all’apparenza lo era il tumulo dove giaceva morto Molcher.

D’improvviso il vento soffiò con più forza portando con sé fiocchi di neve sempre più fitti. L’aria allora divenne ancora più fredda tanto che i brividi sulla pelle di Innogen la sconquassarono. 

La tormenta infine era giunta portando l'energia necessaria. L’attendeva da giorni per portare a termine il compito che le era stato assegnato. Gringalet la sovrastò, in qualche modo le era grato e cercava di fornirle riparo dal vento. Lei trovò conforto al caldo sotto la sua pancia dove strofinò il naso gelato. Presto le nuvole nere si addensarono sullo stagno e fin sopra il tumulo avvolgendo il tutto nell’Oscurità. Intanto la neve continuava a venire giù pesantemente e quindi la strega abbandonò il rifugio che il grande pino aveva concesso loro per disporsi sul tumulo. La croce celtica, avvolta dall’edera, spiccava ancora sotto la coltre di neve. A quel punto il vento soffiò ancora più forte liberando la chioma fulva di Innogen dal mantello che prese a danzare nell’aria pregna di spirito. Il suo viso trasmutò, i lineamenti divennero duri e spigolosi, scuri come se un velo nero fosse calato su di lei dandole le sembianze di un’esotica Iside Velata. Sollevò in alto le braccia, da prima i palmi furono rivolti verso l’alto, e invocò la Madre e la sua benevolenza benedicendo il potere che giungeva attraverso la sua figura. Infine, voltò i palmi verso il basso.


“Madre! Da milioni di anni nutri questa terra, attraverso la vita porti la morte, e grazie alla morte doni la vita!”

Le sue parole si spandevano sonore attraverso le feroci folate del vento.

“Nelle prossime dodici ore gli spiriti che possiedono questo privilegio innalzeranno il loro verbo, canteranno ai bulbi che metteranno radici e questi torneranno alla vita come il cavaliere morto invano, così che possa perseguire la sua missione!”

Attese giusto un attimo prima di profetizzare ancora.

“Il cavaliere si ergerà e sconfiggerà l’oscurità che incombe, custodendo la luce perenne nel suo stesso petto!”


29 Gennaio, anno del Signore


Da bambino mi raccontavano come le fate tessessero le morbide distese di muschio che ricoprivano le pietre del bosco. 

Ora ne sono certo, per tutto il tempo che il mio cuore rattrappito si gonfiava di nuova linfa le ho udite cantare e pregare benedicendo il mio petto. Ho veduto fili scintillanti rivestire i miei occhi, ho annusato e assaporato il gusto terroso del muschio mentre lo zoccolo duro di Gringalet, al pari di un tamburo tonante, scandiva i tempi della mia rinascita. 

Una bianca mano di dama dal viso velato di nero ha aguantato la mia e, tra le violente folate che spirava la bufera, mi ha sussurrato: “Un cavaliere non deve solamente procedere lungo il sentiero, deve essere lui stesso il sentiero!”

Poi è scomparsa, la chioma fulva pian piano si è dileguata tra la neve.



Quinto comandamento della cavalleria

“Sarai sempre e dovunque il difensore

del diritto e del bene

contro l’ingiustizia e il male”



Dal diario di Molcher, cavaliere dal cuore di Muschio.



Testo di Tamara Barbarossa (@tamara_barbarossa)

Illustrazione di Barbara Aimi (@aimi.barbara)

31 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page