Lacrimarium - racconto
Rubrica: Custodi della Terra
Mi trovavo seduta sul gradino d'ingresso di una sorta di monastero, al centro di una vallata circondata da vette morbide.
Il cielo uggioso rimbombava di scalpiccii di zoccoli provenienti dalle spalle dell'edificio. Una mandria di alci si sparpagliò tutt'attorno, fermandosi a pascolare.
Intimorita dalla loro stazza restai immobile mentre un cucciolo si avvicinò curioso. In quel momento, il cielo divenne azzurro e la natura sembrò esplodere di verde. La madre sbucò poco dopo. Mi osservò circospetta ma non ostile, per poi allontanarsi con il piccolo.

Al mio fianco comparve una donna in abiti sacerdotali che mi invitò a entrare. Mi spiegò che, insieme alle apprendiste, dovevamo recuperare rimedi per le alci prima della loro migrazione. La somministrazione, però, era compito delle anziane. Consegnato il necessario alle addette, rimasi a osservare l’interno della struttura: un misto tra il Duomo di Milano e un caotico deposito con corridoi di libri, pozioni, tavoli e altarini.
La sacerdotessa, che percepii ora come mentore di una giovanissima me, tornò con una nuova pozione in mano, dicendo: “Questo è un rimedio speciale per un nostro amico che soffre spesso di emicrania.” (io soffro di emicrania con aura e oftalmica) facendomi nuovamente strada verso l’ingresso.
Davanti a noi si apriva l’ultima insenatura di un fiordo dal mare blu cupo, ma calmo. La donna fece tintinnare una campana e, dal fitto di una sponda vicina, emerse un gigante d’edera: una figura antropomorfa colossale, priva di lineamenti ed estremità. Avanzò guardando la baia, la sapidità dell'acqua mi preoccupò, ma inutilmente.
La sacerdotessa mi affidò in quel momento il contenitore da porgergli. Mentre si avvicinava, il misto di timore e meraviglia mi fece palpitare. Quando si chinò verso di me, protesi il braccio e chiusi gli occhi. Quando li riaprii il gigante d’edera non c’era più, ma il contenitore nella mia mano era cambiato: non conteneva più un liquido dorato, bensì trasparente, e in rilievo, nella sua parte più tonda, portava in rilievo la forma di una foglia d'edera.
Nello stesso momento mi resi conto che anche la sacerdotessa era scomparsa, così come le alci, le montagne, il sole, i fiordi e la vallata.
Mi trovavo circondata da una spessa nebbia e, voltandomi in tutte le direzioni, l'unica cosa che riuscii a scorgere era una flebile luce fiammeggiare in lontananza.
Mi misi in cammino da quella parte, con i piedi che affondavano nudi in una gelida melma.
Il silenzio intorno a me era così profondo che il calpestio acquoso con cui avanzavo rimbombava dentro il petto provocandomi un senso di nausea e disgusto, come invero stessi camminando nello spazio più spurio, inquinato e negletto del mio cuore.
Quel pellegrinaggio stava mettendo alla prova ogni mia resistenza mentale e fisica, la luce che inseguivo sembrava indietreggiare ad ogni mio passo e dopo un tempo inquantificabile trascorso a inseguirla caddi sulle ginocchia disperata e senza forze, conscia che non l'avrei mai raggiunta.
Presi a piangere singhiozzando, raggomitolandomi nel fango senza curarmi di ritrovarmi completamente inzaccherata.
Mi fermai solo quando il contenitore vitreo che stringevo tra le mani prese a vibrare, caldo e luminoso come pronto a scoppiare: il liquido al suo interno era aumentato ma il tappo restava sigillato.
Raccolsi le ultime energie per tornare in piedi, c'era una sorta di istinto a sostenere i miei movimenti.
Protrassi nuovamente il braccio davanti a me nello stesso gesto con cui porsi il rimedio al gigante d'edera.
Con la mano libera stappai il tappo e capovolsi quello che ormai mi era chiaro essere un lacrimarium, per riversare il suo contenuto.
Il piccolo rivolo che si generò, toccando terra, produsse scintille e scavò il suolo generando una sorgente da cui prese a sgorgare un piccolo torrente.
Mentre l'acqua si faceva strada spazzando via la melma, la nebbia andava diradandosi seguendo il suo tragitto.
M'incamminai lungo la riva sinistra e inseguii la rotta dei suoi flutti che divennero fiume, lago, ancora fiume e poi mare.
Raggiunta la spiaggia fui consapevole che avrei dovuto immergermi e raggiungere una costa al di là, che non potevo scorgere, ma non dubitavo esistesse.
Bastarono pochi passi per trovarmi a fare bracciate al largo in un oceano scuro, infinito, piatto e spaventoso. Ogni volta che provavo a guardare il fondo, quello mi restituiva, come uno schermo, la diapositiva di un ricordo.

Ricordi dolorosi di assenze, violenze, ingiustizie, separazioni, abbandoni, disposti in fila come la trama di un'Odissea giovanile in cui ho navigato stringendo in pugno costantemente, solamente, il sogno della mia Itaca.
La mia Itaca che non era un dove, ma un chi.
Era a chi scrivevo le mie molte lettere senza destinatario.
Alle elementari immaginavo un angelo, crescendo presi a immaginare un principe, poi un guerriero, un pirata, un mago, infine un ladro.
Quando riuscii a mettere in fila tutte le immagini della mia Itaca, qualcuno mi afferrò tirandomi fuori dall'acqua.
Finalmente ero di nuovo con i piedi per terra, al caldo, al sole, dove tutto mi era caro e conosciuto, e non stringevo più un lacrimarium ma la mano sicura dell'unica Itaca che non avrei mai saputo raggiungere o immaginare.
Testo di Alessandra Manara (ossa.di.luna)
Elaborato nato per i Custodi della Terra - ISPIRAZIONE MESE DI DICEMBRE 2024 E GENNAIO 2025 - Gruppo di scrittura introspettiva e naturalistica che fa parte del progetto #laruotadimadreterra creato ad inizio 2022 da Tamara Barbarossa e Rossana Orsi.
“Ogni mese chiediamo agli Oracoli quale guida ci affiancherà nelle suggestioni che forniremo poi ai partecipanti del gruppo per esprimere ciascuno le proprie emozioni. Ogni mese abbiamo un incontro on-line per confrontarci intimamente e scambiarci riflessioni nate dalla condivisione.”
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ORACOLI DEL TEMPIO DELLA DEA (Sarah Perini & Elena Albanese)
ORACOLI DELLE VITE PASSATE (Dott.ssa Doreen Virtue e Dott. Brian Weiss)
Fotografie di Pixaby
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