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MOLCHER - primo capitolo

Rubrica: Racconti oltre il velo


Settembre


Il mese di Settembre aveva insita in sé un certa felicità sommessa, un sentimento raffinato che si diffondeva nell’aria quando la stagione estiva cedeva il passo all’autunno, una sottile ed eccitante sensazione di cambiamento. Era questa l’impressione che aveva sempre pervaso Molcher nel periodo scandito dalle feste del raccolto. Almeno lo era stato fino a quando l'ordine e la chiesa non lo avevano strappato alla sua stessa indolenza.

Il giovane si aggirava furtivamente per i campi. Svestiti illegalmente gli eroici panni di cavaliere, si era allontanato di soppiatto dal banchetto di commiato in suo onore.

Teneva il cappello buttato sul viso lentigginoso, non desiderava vedere più niente e nessuno. Nonostante questo, da sotto la falda lanciava qualche occhiata obliqua per assicurarsi che nessuno lo avesse seguito.

Scelse il luogo adatto ove sostare per qualche tempo e lì far fluire i pensieri, quindi si accomodò. Raccolse le pergamene, che nel sedersi sotto all’albero erano sgusciate via dalla copertina di cuoio, e sospirò mentre la mano premeva con forza, ancora una volta, il cappello sul capo. Chiuse gli occhi porgendo il viso alla luminosità del tramonto trovando così una connessione con l’ambiente circostante, dopodiché, senza troppo sforzo, riprese a percorrere gli eventi della mattina appena trascorsa.

Molcher desiderava annotarne i momenti salienti, quelli che sarebbero rimasti impressi nell’anima.

Un rumore impercettibile sopra la sua testa si confuse col gracchiare dei corvi che si allontanavano verso la sera.

Lui non se ne accorse minimamente, assorto com’era, ma il fruscio che diede origine agli eventi principiò da una semplice foglia. In seguito l’albero si scosse originando un lamento. Poi, dalla chioma, il lamento si estese al boschetto retrostante che parve agitarsi misteriosamente.

A muovere le foglie non era stato il vento. Un attento osservatore avrebbe certamente notato come le antiche stoppie dei campi riposassero placide al sole calante. Una forza interiore, una forza mista a rivolta, pareva essersi impossessata degli atavici esemplari.

Dapprima cadde una sola foglia di gelso tinta di sole e, nel cadere, assunse le sembianze di una farfalla che, aleggiando oltre il cappello di Molcher, volteggiava leggera. Altre la seguirono subito dopo per svolazzare qualche passo di distanza dall’albero, a destra e a sinistra, raggiungendo persino la vigna poco più in là e soffermandosi per un attimo sui rami tesi che ancora rosseggiavano sulla terra lavorata di fresco. Infine si posarono al suolo ormai spente, finendo per confondersi con l’ombra.

Era stata tutta una mera illusione, in realtà le foglie erano già morte prima di prendere il volo, non vi era alcuna nuova vita ad attenderle.

Presagio salato.


“Giovane Molcher, perché desideri essere nominato cavaliere?”


Indagò il sacerdote non appena il novizio gli si fu inginocchiato dinanzi col fodero della spada a tracolla.

La chiesa insigniva di una tale onorificenza giovani nobili dediti alla causa, ovvero quella di riportare il nome del Signore nelle terre sottratte alla chiesa per conto di altri dei, estirpando così il male.

Il ragazzo ricordava come in quell’esatto momento si sentisse sfinito.

Aveva trascorso la notte in bianco recitando orazioni in compagnia del padrino. Le settimane precedenti non erano state da meno, e dopo giorni e giorni di digiuno, continue preghiere e penitenze affinché il suo spirito venisse purificato, giunse come una liberazione il momento della cerimonia. Poco prima di entrare in chiesa venne lavato e rasato in segno di servitù, e poi indossò una veste bianca in rappresentanza della purezza appena acquisita. Mantenne comunque la sua spada, eredità di famiglia, cimelio che mai aveva attratto il suo interesse, almeno non quanto una pergamena immacolata.

Giallo in volto, con le gambe traballanti e magro quasi da far spavento, Molcher rispose al sacerdote cercando di non far trasparire l’angoscia che provava:

“Desidero onorare Dio sopra ogni cosa, la religione e la cavalleria!”

“Se questo è il tuo desiderio, in nome di Dio, di San Giorgio e di San Michele io ti fò cavaliere… sii prode, coraggioso e leale alla tua Chiesa, figliolo!”


Suo padre, il signorotto del luogo, si levò solennemente dal seggio, soppesando nella mente le ricchezze che da quel momento in poi avrebbero rimpinguato le casse del casato, naturalmente se l’erede non si fosse fatto uccidere prima del tempo.

Sguainò la spada e, con l’arma nuda, diede tre colpi di piatto sulla spalla del figlio. Aggiunse uno schiaffo poderoso, l’ultima ingiuria che avrebbe dovuto subire invendicato, ma certamente mossa dall'insoddisfazione nei suoi confronti.


A quel punto Molcher si sollevò in piedi, sentendosi perso, e la stanza prese a roteare su sé stessa. Ansimò e spalancò le braccia: tra le pieghe chiare dell’abito si aprirono a macchia acini rossi come chicchi d’uva. Il sangue, versato in nome e per conto di Cristo, preannunciava quello che presto avrebbe dovuto lavar via dalle sue mani.


Il giovane si destò di soprassalto. Nel ripercorrere le scene della cerimonia si era certamente assopito sotto al gelso dalle foglie cadenti.

Rabbrividì al ricordo del sangue che nel sogno macchiava le sue vesti. Era sempre stato un giovane sciamannato, a prima vista chiunque avrebbe detto di lui quanto fosse insignificante, alla stregua di un mero garzone. Deludente lo definiva di sovente il padre, svilendo così i suoi sogni da scribacchino.

Nessuno avrebbe mai detto che il giovane rosso di pelo un giorno sarebbe potuto diventare Molcher, uno dei cavalieri alla scorta del re!


21 Settembre, anno del Signore.


Non appena l’istante solenne fu concluso, altri cavalieri più anziani per grado e di comprovati valori morali mi tolsero le vesti.

Damigelle e donne, al loro posto, m’infilarono attraverso il capo una cotta d’acciaio.

La corazza ricoprì il mio petto attenuando i battiti accelerati del cuore.

Degli ampi bracciali, invece, mi avvolsero i polsi mentre i guanti le mani.

La spada e gli speroni d’oro mi furono dati da mio padre, forgiati in giudea diverso tempo addietro, sono il segno distintivo di una dignità acquisita più per i servigi paterni che per il mio valore da menestrello perdigiorno…


Primo comandamento della cavalleria

“Crederai agli insegnamenti della chiesa e ne osserverai i dettami”


Dal diario di Molcher, cavaliere del re



Testo di Tamara Barbarossa (@tamara_barbarossa)

Illustrazione di Barbara Aimi (@aimi.barbara)

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1 Comment

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Guest
Jan 19

Davvero affascinante!!!

L’ho letto tutto d’un fiato, ma ora devo andare al lavoro….stasera leggerò il resto!

Bravissimeeeee!!!

Stefania (traccedibosco)

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